PORTALE ITALIANO DI DIVULGAZIONE DELLA VITA E LE OPERE DI LEONARDO DA VINCI
COOKYE POLICY
In collaborazione con:
leonardodavinci-italy.com - all right reserved 2024 - divisione cultura, Sede legale: Milano Piazza IV Novembre 4, cap 20124 -P.IVA 11463490968 – CCIAA MI 90266 REA 2604702
Leonardo da Vinci è famoso non solo per le sue opere d'arte iconiche come la "Gioconda" e "L'Ultima Cena", ma anche per la sua straordinaria genialità e curiosità che lo hanno portato a essere uno dei più grandi menti del Rinascimento. Tra le sue numerose aree di interesse, Leonardo ha investigato anche i "nodi viciani", che sono concetti matematici e scientifici che riguardano la dinamica dei fluidi.
I "nodi viciani" si riferiscono alla teoria dei vortici che Leonardo studiò e descrisse. Leonardo osservò che i vortici nell'acqua si comportano in modi complessi e interessanti, creando strutture che possono influenzare il movimento e il comportamento dei fluidi circostanti. Questi concetti sono stati applicati alla fluidodinamica e alla comprensione dei fenomeni come il flusso del sangue nel corpo umano e il movimento dell'acqua.
Il vero “Codice da Vinci”? Bisogna cercarlo nei nodi. Quelli disegnati e dipinti da Leonardo, per l’esattezza. A riempire intere pagine, ma anche nascosti nei ritratti, quando non esibiti in grandiose composizioni. Un “filo rosso”, più frequentemente “dorato”, in verità, che lega e attraversa l’intera produzione del maestro del Rinascimento italiano, dalle prime opere giovanili ai capolavori della maturità, e che diventa come un “logo”, una sorta di “marchio di fabbrica” o perfino una “firma” nascosta. I nodi, cioè i “vincoli”: vinci, appunto.
Dei “nodi vinciani” la Biblioteca Ambrosiana conserva sei celebri fogli che riproducono a stampa altrettante cartelle, realizzate da un anonimo incisore milanese su disegni dello stesso Leonardo, probabilmente nell’ultimissimo scorcio del XV secolo, cioè negli anni più fecondi del soggiorno ambrosiano del genio toscano. Oggi due di questi esemplari sono eccezionalmente esposti in una nuova mostra allestita al Castello sforzesco a Milano, che si propone come ulteriore introduzione a quella “Sala delle asse” ancora in corso di restauro e da pochi mesi riaperta al pubblico, sulle cui pareti si distende un impressionante capolavoro vinciano: una pittura murale che, con straordinario effetto illusionistico, ricrea un pergolato di alte piante, i cui rami frondosi sono cinti da corde e funi, in un inestricabile intreccio di nodi, per l’appunto.
La rassegna, piccola ma decisamente interessante (aperta fino al 15 dicembre: ingresso con il biglietto dei musei dei Castello; info: www.milanocastello.it), diventa così l’occasione per presentare al pubblico alcune preziose e rare opere grafiche, databili tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, che testimoniano la fortuna e la diffusione di alcune “invenzioni” di Leonardo tra gli artisti del tempo.
Opere come l’incantevole Testa di Leda, un disegno appartenente alla collezioni civiche del Castello sforzesco, riconosciuto come studio autografo del Da Vinci, poi ritoccato dai discepoli, per un dipinto che le fonti ricordano in Francia ancora nel Seicento, ma che in seguito è andato perduto, e che è noto quindi soltanto attraverso alcune copie degli allievi. O come gli Studi di cavalli (pertinenti alla Raccolta Bertarelli e all’Ambrosiana), attribuiti all’ambito di Giovanni Antonio da Brescia, ma derivati da originali leonardiani, che rimandano alla nota vicenda del monumento equestre per Francesco Sforza, la cui lunga e travagliata fase preparatoria non vide mai conclusione.
Di grande intensità espressiva appare la Testa barbuta di Giovanni Agostino da Lodi, fortemente evocativa delle ricerche su quei «moti dell’anima» così profondamente rappresentati nel Cenacolo in Santa Maria delle Grazie. Un interesse, quello di Leonardo per la fisiognomica e per i tratti caratteriali e psicologici, evidente anche nelle curiose, sorprendenti immagini grottesche e caricaturali che il maestro realizzò in gran numero, influenzando non soltanto i suoi seguaci più diretti, ma anche artisti nordici, fiamminghi e mitteleuropei, come il praghese Wenzeslaus Hollar, del quale al Castello viene oggi esposto un disegno del tutto inedito.
L’esposizione, che rientra in un più ampio progetto dal veritiero titolo «Leonardo mai visto», fa parte di un ricco e variegato palinsesto di eventi promosso dal Comune di Milano in occasione dei 500 anni dalla morte del maestro. Manifestazioni spesso di alto livello culturale, che hanno fatto riscontrare una notevole partecipazione, se è vero, come è stato dichiarato dai curatori, che la precedente mostra vinciana al Castello sforzesco è risultata essere una delle più visitate in Italia dall’inizio dell’anno.
Merito soprattutto dell’interesse suscitato, come si diceva, dalla riapertura della “Sala delle asse”, ambiente solenne e raccolto, alla base della torre falconiera, dove Leonardo operò probabilmente nel 1498, ovvero immediatamente dopo la conclusione della sua Ultima cena nel refettorio dei domenicani delle Grazie. Un intervento che ebbe la sventura di essere scialbato e dimenticato già poco tempo dopo la sua esecuzione, ma che venne per fortuna riscoperto agli inizi del secolo scorso da Luca Beltrami, nel recupero dell’intera struttura sforzesca. E che oggi continua a rivelare dettagli sconosciuti e sorprendenti.
Chissà se proprio in questo studio appartato, che esaltava la personalità e le imprese di Ludovico il Moro, si ritrovavano anche i membri di quella misteriosa, enigmatica, sfuggente “Accademia di Leonardo da Vinci” il cui nome ritorna proprio nelle incisioni dell’Ambrosiana… Un mistero ancora da dipanare, come i nodi vinciani stessi.
fonte: Luca Frigerio
Nodi, vincoli e “groppi” leonardeschi
Codice Atlantico, f. 190 verso: © Veneranda Biblioteca Ambrosiana
"Negli arbori altresì si è trovato una bella invenzione di Leonardo, di far che tutti i rami si facciano in gruppi bizzarri, la qual foggia usò, canestrandogli tutti, Bramante ancora"
Così scriveva Giovan Paolo Lomazzo nel suo Trattato dell’Arte della Pittura, Scoltura et Architectura (Milano, 1584 e 1585), Libro VI, cap. XLIX.
Leonardo stesso sembrerebbe confermare la paternità dell’invenzione dei “gruppi bizzarri” all’amico urbinate e collega alla corte sforzesca, il Bramante, con un’annotazione al f. 611 a recto del Codice Atlantico, in cui si citano espressamente i «groppi di Bramante».
Sussistono tuttavia molteplici elementi a sostegno dell’ipotesi che si trattasse invece di invenzione germinata precocemente dall’ingegno leonardesco (seppure poi attestatasi come episodio di significativa consentaneità rispetto alle predilezioni estetiche dell’amico architetto): già il più antico disegno di Leonardo che oggi si conservi, il foglio con la celeberrima Veduta della Vallata dell’Arno (inv. 8 P del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi), notoriamente contrassegnato dalla datazione autografa al 5 agosto 1473, riporta sul lato posteriore, insieme ad altri schizzi di figure, un primo embrionale esempio di “nodo vinciano”. Si è giustamente congetturato che la pratica del “canestrare i vinci”, cui pare esplicitamente alludere lo stesso Lomazzo, consistente nell’intrecciare i serti di arbusti flessibili simili a salici diffusi nel territorio del paese natale per produrre manufatti artigianali, possa essersi fatalmente sedimentata nell’immaginario leonardesco, non solo come marchio o pattern stilistico ma anche come cifrata allusione nominale di matrice onomastica: sia come rinvio topografico alla nativa Vinci, dunque, sia a titolo di colto rimando al proprio nome di famiglia (in ossequio al gusto di Leonardo per i rebus e gli anagrammi, poiché “vinci” vuol dire appunto “vincoli” e quindi nodi o intrecci).
Codice Atlantico, f. 5 recto - Veneranda Biblioteca Ambrosiana
Codice Atlantico, f. 700 recto - Veneranda Biblioteca Ambrosiana
Che il nodo divenga, a partire dal periodo sforzesco (c. 1482-1499), un grafema contraddistintivo della personalità stessa – intellettuale e artistica – di Leonardo, si evince poi da altre circostanze probanti: se un suo probabile autoritratto nell’atto di traguardare una sfera armillare mediante un prospettografo è accompagnato da disegni di intrecci ornamentali su un foglio strettamente legato alla sua pratica di bottega (Codice Atlantico, f. 5 recto, c. 1490), svariati schizzi che elaborano motivi affini costellano poi il cosiddetto Manoscritto H (ad esempio ai ff. 32 verso e 33 recto), la cui datazione piuttosto ferma al biennio 1493-1494 lo rende un immediato precedente di due imprese scaturite allo scorcio dell’ultimo decennio del sec. XV dal laboratorio milanese di Leonardo. Le incisioni con le “cartelle” della altisonante Achademia Leonardi Vinci, in cui il tema iconografico riceve la sua più compiuta e astratta stilizzazione estetica, oggi conosciute in due serie di esemplari (alla Biblioteca Ambrosiana e al British Museum), dovrebbero infatti datare poco dopo, dal momento che Dürer ne plagiò l’invenzione (omettendo le scritte allusive alla scuola di Leonardo), a seguito della sua probabile trasferta milanese nel corso del suo soggiorno veneziano del 1495.
È tuttavia la grandiosa ornamentazione allegorica della Camera de’ Moroni (poi detta impropriamente Sala delle Asse) al pianterreno della torre nord-orientale del Castello Sforzesco, condotta dal 1498 con larga partecipazione di aiuti e lasciata incompiuta alla fine del 1499 alla capitolazione del Ducato di Milano a causa dell’invasione francese, che dimostra l’impiego più scenografico e spettacolare dei “nodi” e “groppi”, all’interno di un programma iconologico altamente celebrativo delle virtù politiche di Ludovico il Moro, alla cui personalità alludono infatti i gelsi-mori dai rami frondosi, che intessono intrecciandosi ai nodi di corda un illusionistico pergolato naturalistico sulla volta della sala (cui si immagina dovesse corrispondere il labirintico design del decoro del suolo – ma dalla tramatura di matrice geometrica – come testimonierebbe il probabile studio per piastrella pavimentale al f. 700 recto del Codice Atlantico). Lo stesso rigoglio botanico associato al nodo si ritrova nella cosiddetta “allegoria del calandrino” (Codice Atlantico, f. 190 verso), nella quale il motivo dell’uccello ingabbiato combinato con i rami intrecciati da cui prepotentemente germogliano foglie e fiori, con la significativa didascalia "I pensieri si voltano alla speranza", rinvia alla leggenda medievale del “calandrino” narrata nel Fiore di virtù, ovvero il miracoloso volatile che, portato al cospetto di un ammalato, si sarebbe rivolto a lui cantando solo a presagio di pronta guarigione.
Fonte. MARCO VERSIERO
È postdoctorant in Études Italiennes presso il laboratorio Triangle alla École Normale Supérieure di Lione (2016/2017). È dottore di ricerca in Filosofia Politica (Università di Napoli L’Orientale) e in Letteratura Italiana Moderna (Istituto Italiano di Scienze Umane - Scuola Normale Superiore di Pisa) ed è stato abilitato dal MIUR come docente universitario associato (2013)
Per segnalazioni su questa pagina clicca qui